martedì 8 marzo 2011

Ecco il documento programmatico di FLI approvato a Milano

E noi c'eravamo...

Nasce per l’Italia…

«Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa»
Giorgio Ambrosoli
Non è stato facile decidere di dar vita a un nuovo soggetto politico ma non si poteva vanificare un patrimonio di valori, storie e impegni di più generazioni lasciandolo nelle mani di chi ha dimostrato di non considerarlo una risorsa, ma solo un ostacolo. E nel contempo, non potevamo sottrarci al dovere di offrire una prospettiva e quindi un futuro a quanti non si rassegnano a un’Italia divisa e lacerata, piegata e rancorosa, che emerge dalle analisi e dalle stesse cronache. Un’Italia a cui la politica non sa offrire risposte convincenti per l’oggi né un progetto per il domani. Un’Italia scoraggiata, tentata dalla rinuncia, paralizzata dal timore del declino. Invidiosa e rassegnata, incattivita dalla sfiducia e dalla paura. Educata alla diffidenza e all’ostilità. Prigioniera di un immobilismo suicida, mentre è invece dalla strada delle riforme che passa la modernizzazione economica e il rinnovamento civile del Paese.

Un’idea di patria condivisa, di futuro possibile, di politica nobile e pulita, è la condizione per un’Italia diversa e migliore. Un’Italia che guardi al 2020. Dieci anni davanti, per recuperare un decennio perduto.
Futuro e libertà nasce per l’Italia e nel segno di una rinnovata partecipazione politica, fatta di responsabilità, passione e coraggio. La cultura a cui Fli intende dare forma politica attuale e praticabile è figlia delle grandi scuole della storia del pensiero italiano: oltre ogni vuota retorica, si tratta di dare nuova espressione, per il ventunesimo secolo, all’ideale liberale, nazionale, riformista, della più alta tradizione di libertà, culturale e politica, italiana.
Guardando ai grandi schieramenti europei di oggi, Fli ribadisce la sua appartenenza alla famiglia politica del Partito popolare europeo, del quale condivide gli ideali e i valori guida, a partire dalla libertà e dalla dignità della persona umana. Nel contesto italiano, Futuro e Libertà si propone di superare il modello politico fondato sull’inimicizia e sullo stato d’eccezione permanente per promuovere una politica fondata sull’amicizia, sull’accoglienza e sullo stato di normalità, su idee e programmi che si confrontano in una sana alternanza di governo.
…per il patriottismo repubblicano


«Un giorno questa terra sarà bellissima…»
Paolo Borsellino
Futuro e libertà non si rivolge solo alla destra e nemmeno solo agli orfani del Pdl, ai delusi di ieri e a quelli di oggi, ma a tutti gli italiani, senza steccati e pregiudizi, nella convinzione che occorre unire e non dividere, comporre e non lacerare, guardare avanti e non perennemente indietro. La politica per noi è un orizzonte, non uno specchietto retrovisore.
Futuro e libertà vuole parlare innanzitutto ai giovani, con la volontà di realizzare un nuovo patto generazionale che si basi su una condivisione di valori e di responsabilità affinché questa Italia, che amiamo comunque, torni a essere quella terra meravigliosa che i nostri padri ci hanno lasciato. Aperta e innovativa, orgogliosa e volitiva nel mondo.
Futuro e libertà sarà un partito di programmi fondato sui valori del patriottismo repubblicano, consapevole che in Italia occorre passare, e subito, da un bipolarismo tribale, fatto di rancori e di aggressioni, in cui l’avversario ha sempre torto, a un bipolarismo europeo, in cui il confronto arricchisce tutti e soprattutto consente di trovare le soluzioni migliori per l’interesse nazionale. Futuro e libertà non accetta la logica di chi pensa che l’avversario vada denigrato, il dissenso represso, la protesta piegata, ma intende ricostruire un confronto civile tra opzioni riformiste diverse e non forzatamente conflittuali.
Futuro e Libertà vuole un’Italia più attiva e consapevole del rispetto dei diritti e della dignità delle donne, dell’apertura alla modernità rappresentata dalla Rete, dello sviluppo del pluralismo informativo e culturale, della diffusione della conoscenza e dell’ascolto dei soggetti che danno voce all’immaginario collettivo attraverso l’arte, il cinema, la letteratura: la riattivazione di tante energie vitali, che oggi rimangono estranee alla sfera politica, è l’unica via per uscire dalla stagnazione sociale, culturale ed economica degli ultimi anni e rimettere in moto la vitalità del Paese.
Futuro e libertà sarà un partito laico, fatto di credenti e non credenti, che riconosce l’alto valore morale e sociale della Chiesa cattolica e il contributo storico che le religioni hanno dato nei secoli: proprio per questo agisce nel Paese e nelle istituzioni secondo lo spirito della laicità positiva. Lo stato laico garantisce la libertà religiosa e di pensiero.

…per una nuova etica pubblica

«Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza»
Karl Popper
Futuro e libertà non è un partito ideologico né dogmatico, ma si fonda sulla consapevolezza che l’etica pubblica è fondamento di ogni azione politica, una sorta di “buona educazione” civile, in cui i diritti di tutti sono l’altra faccia dei doveri di ciascuno. Non una questione di forma, ma di sostanza, non di stile, ma di responsabilità.
La società italiana ha bisogno di esempi e di comportamenti responsabili, rispettosi delle istituzioni e di un autentico senso dello Stato.
La legalità non è un totem e non è un tabù, non è un orpello ideologico né un concetto giudiziario, ma è la condizione – la sola e necessaria – in cui una società civile possa vivere e prosperare. A questi valori si deve ispirare tutto ciò che costruisce la vita della polis – e in primo luogo la politica – per ricostituire il senso autentico della cittadinanza oltre ogni casta e privilegio, tanto più necessario in questo anno in cui si celebra il 150° anniversario dell’Unità.
Stanchi di vedere le energie e il senso civico del Paese mortificati nel teatrino di una politica prigioniera delle convenienze tattiche, del rancore e della frustrazione, vogliamo dare vita a un soggetto nuovo negli indirizzi, nelle forme, nel costume, nel coraggio di immaginare una primavera italiana. A un partito in cui non c’è “chi ci pensa” per tutti, ma in cui ciascuno possa dare il suo contributo alle scelte da fare nell’interesse del Paese.
La partecipazione e il senso di responsabilità civile dei cittadini sono una garanzia contro gli eccessi di una politica che non riconosce il senso del proprio ruolo né quello dei limiti dell’esercizio del potere pubblico.








…e una nuova stagione di riforme

“Sogno il mio Paese infine dignitoso e un fiume con i pesci vivi a un’ora dalla casa”
Lucio Battisti
Futuro e Libertà è consapevole che l’Italia ha bisogno di un radicale processo di riforme e di liberarsi delle resistenze che si sono manifestate ad ogni tentativo autenticamente innovatore. Che le speranze alimentate dalla cosiddetta Seconda Repubblica sono state ampiamente disattese e che, però, non bisogna demordere. La rivoluzione liberale si è imbrigliata nelle pastoie degli egoismi generazionali e locali dei già garantiti, che hanno messo a rischio anche le fondamenta della coesione sociale.
Occorre uscire dal tunnel del “non possiamo perché c’è la crisi” per affermare esattamente il contrario, “noi dobbiamo perché c’è la crisi”. Una crisi strutturale, sistemica, anche globale, alla quale bisogna dare risposta con un progetto riformista e modernizzatore che coinvolga le migliori energie, morali e professionali, per dare opportunità a tutti, premiare i migliori, aiutare chi è rimasto indietro. Noi vogliamo che l’Italia non sia solo un museo all’aria aperta, ma una nazione competitiva sui nuovi scenari globali.













Capitolo 1.
Uscire dal malessere, un progetto verso il 2020
La proposta di Fli nasce dalla convinzione che la gran parte dei cittadini avverte il dovere civile e politico di reagire alla crisi da cui è attanagliato il Paese e sia in cerca di riferimenti e di rappresentanza per questo desiderio. La crisi si è in vario modo manifestata nel decennio scorso, gli Anni Zero, ma solo ora sta raggiungendo il livello della consapevolezza diffusa. Le rilevazioni degli istituti di ricerca ci consegnano un’Italia progressivamente trasformatasi nel “Belpaese del malessere”, dove la maggioranza delle persone si dice sfiduciata e preoccupata e ritiene che i figli saranno meno ricchi e garantiti dei genitori.
Il Paese (che era) del sorriso e della socialità è divenuto l’ultimo Paese dell’Europa per spinta verso il futuro e fiducia negli altri, al punto che sette italiani su dieci ritengono che «gli altri, se ne avessero l’occasione, approfitterebbero della mia buona fede». Più della metà degli italiani ritiene inutile fare progetti per sé e la propria famiglia (Indagine Demos). E, dato inquietante, una donna su due non lavora e ha rinunciato a cercare un lavoro, e più di due milioni di giovani non studiano né lavorano (Istat 2011): solo una parte del Paese produce, molti vorrebbero farlo ma non possono.
La crisi italiana è stata a lungo annunciata da innumerevoli segnali. Ma solo nel corso del 2010 si è diffusa la percezione che sia necessaria un’assunzione di responsabilità dei singoli, delle categorie, delle associazioni e di tutta la rete in cui gli interessi sociali sono organizzati per modificare una realtà elusa dalla politica, che ne nega l’essenza per non assumersi il carico di affrontarla. Dalle sollecitazioni del mondo imprenditoriale e sindacale alle nuove inquietudini che percorrono il mondo giovanile e studentesco, dai movimenti per la legalità al Terzo settore, l’anno appena trascorso ha mostrato tracce evidenti di ritorno all’impegno civile da parte di settori molto vasti. È su queste energie che scommette Futuro e Libertà, e sulla certezza che gli italiani siano migliori di come vengono correntemente rappresentati.
L’Italia ha bisogno di ritrovare la coesione sociale intaccata da vecchie e nuove sperequazioni tra categorie di lavoratori, fasce generazionali, settori e aree geografiche del Paese, tra chi vive di rendita e chi vive di reddito. È necessario un nuovo Patto, non per ridistribuire ricchezza, ma per offrire opportunità di crescita – in senso economico, sociale e civile – e per garantire a ciascuno la possibilità di esprimere al meglio i propri talenti e di perseguire i propri obiettivi di vita. Una rinnovata coesione nazionale e sociale passa innanzitutto per la riscrittura del patto generazionale tra giovani e anziani, che rappresenta una delle strutture basilari della nostra società. Sono proprio i giovani i primi a essere attualmente colpiti dall’abbassamento della mobilità sociale che si registra da tempo in Italia, come emerge dai dati drammatici sulla disoccupazione giovanile e sul differenziale di reddito tra lavoratori giovani e adulti.
L’intervento in favore delle nuove generazioni non deve essere più considerato un aspetto secondario e residuale della politica e non possiamo lasciare solo alla famiglia il compito di compensare le nostre inadempienze. L’emergenza della questione giovanile va posta al centro non solo, com’è naturale, delle politiche riguardanti l’istruzione, la formazione universitaria, gli incentivi alla “piccola” imprenditoria e la promozione dell’associazionismo. Deve essere una priorità strategica anche nel campo del welfare, del sistema previdenziale, della politica economica.
La politica per i giovani deve quindi associarsi a una lungimirante politica per la famiglia, che va sostenuta concretamente come struttura portante della nostra società e primario fattore di coesione sociale, nella consapevolezza che esistono altre forme di convivenza ormai ampiamente diffuse anche in Italia.
Lavorare sui giovani non significa solo investire sul futuro, ma scommettere sul merito, sulla competizione, sulla capacità di sacrificio. E significa coniugare al futuro le decisioni pubbliche che i meccanismi di rappresentanza politica e sociale inchiodano irresponsabilmente al passato, con uno squilibrio intollerabile di risorse e opportunità tra i padri e i figli, tra gli italiani di oggi (e di ieri) e quelli di domani. Più innovazione, ricerca, tecnologia, cultura e formazione, dunque. Ma anche meno debito, che è la faccia presente delle tasse future che saranno comunque i giovani a pagare, come già pagano, a costi altissimi, gli squilibri di un sistema previdenziale, i cui precari equilibri finanziari sono affidati a una intollerabile iniquità generazionale.
Il secondo banco di prova decisivo è il superamento della divisione tra Nord e Sud. La Germania in vent’anni ha riunificato due Paesi lontani anni luce: perché l’Italia non può avere la stessa ambizione, attraverso un’assunzione di responsabilità dell’intera politica? C’è bisogno di un salto di mentalità e di cultura. Non si deve più parlare di questione meridionale, ma di questione nazionale. Il Sud è una risorsa da valorizzare, non un peso da scaricare a vantaggio delle regioni più ricche. Non è solo lo sviluppo del Meridione, ma lo sviluppo di tutta l’Italia, la nuova frontiera dell’ideale unitario. La vera scommessa non si risolve nell’aiuto solidale alle zone del Paese in difficoltà, ma in una costruzione collettiva di futuro, a cominciare dalla presa d’atto dell’esistenza di un colossale problema di legalità, che è la causa del progressivo arretramento del Sud in termini economici e civili. Da questo punto di vista, rimane imprescindibile l’attività di contrasto politico, giudiziario e culturale alla criminalità organizzata e al suo potere economico.
Al Sud non servono più risorse, ma una gestione più accurata e soprattutto mirata delle risorse esistenti sulle infrastrutture materiali e immateriali che creano le condizioni dello sviluppo. Non una politica degli aiuti, che crea dipendenza, assuefazione, clientele, ma una politica della responsabilità che si fondi sull’assioma secondo cui non c’è sviluppo senza legalità, e non c’è legalità senza sviluppo. Basta con i condoni di qualunque tipo, con il “lasciar fare tanto poi tutto si compone”, basta con abusivismi e assistenzialismi, ma anche basta con gli espropri pubblici vecchi e nuovi delle risorse destinate al Mezzogiorno. Ma questo non è sufficiente, è solo pre-condizione, occorre un progetto, politiche di sistema a livello interregionale e luoghi istituzionali che le consentano, una nuova politica industriale e della proprietà intellettuale e della politica sociale. L’importanza della questione sarà oggetto di uno specifico e articolato approfondimento.
La considerazione della “questione meridionale” come problema nazionale ha come corrispettivo logico e politico la consapevolezza dell’esistenza di una “questione settentrionale”, partendo innanzitutto dal problema della competitività internazionale del suo sistema produttivo. Il disagio del Nord non è meno importante di quello del Sud e va riconosciuto e affrontato nei suoi profili specifici: insufficienza dei servizi alle imprese; insufficienza delle infrastrutture; insofferenza diffusa per l’alta pressione fiscale; crescita del disagio sociale e della precarietà del lavoro, anche per effetto dei processi di ristrutturazione industriale che hanno cancellato dalle filiere produttive (e in poco tempo) diverse figure professionali; vaste aree di sofferenza e di crisi nel mondo della piccola impresa, del commercio e dell’artigianato; dispersione e atomizzazione del legame sociale; diffuso allarme per la sicurezza dei cittadini; timori crescenti per le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico.
Fondamentale, per il rilancio dell’intero sistema-Paese, è restituire slancio alla società e all’economia del Nord rispondendo alla domanda di autogoverno dei territori e fornendo in modo più incisivo i necessari beni collettivi per la crescita. Riprendere i processi di liberalizzazione, a cominciare dai servizi pubblici locali e dai settori strategici dell’energia e dei trasporti. E nel contempo, disegnare una politica industriale sui settori innovativi, tentando di arginare con politiche di distretto e di filiera i limiti legati alle caratteristiche dimensionali della piccola e media impresa italiana.
L’evoluzione dei rapporti sindacali nel sistema italiano tende verso il depotenziamento dei conflitti di classe e verso una sempre maggiore responsabilizzazione dei lavoratori nei destini dell’impresa. Il recente accordo per il rilancio di Fiat Mirafiori (sottoscritto dalle organizzazioni sindacali riformiste e dall’azienda e approvato dalla maggioranza dei lavoratori) rappresenta un evento-simbolo del mutamento delle relazioni tra capitale e lavoro in Italia.
In tale contesto evolutivo, la politica non può limitarsi a fare da spettatrice, ma deve adoperarsi per realizzare un quadro normativo atto a favorire  la collaborazione tra i soggetti della produzione all’interno delle aziende e a prevenire l’insorgere di forme incontrollate di conflittualità che potrebbero scaturire dall’odierna  crisi del modello concertativo.
Si ripropone quindi l’esigenza di favorire l’integrazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali nel sistema di governance delle imprese, dando così attuazione, nel contesto odierno, all’art. 46 della Costituzione. Ogni intervento legislativo in tal senso dovrà essere volto a favorire la coesione interna e l’efficienza produttiva delle aziende tenendo conto della peculiarità, qualitativa e dimensionale, del sistema delle imprese in Italia.
La scommessa sul futuro, anche attraverso il ripensamento di sistemi di rappresentanza e relazione sociale consolidati e inefficienti, può pagare per tutti. Essa va inoltre accompagnata da una politica che favorisca la condivisione del destino dell’impresa, come si può fare attraverso la partecipazione agli utili, che va incoraggiata, ovviamente su base volontaria.
Per uscire dal malessere occorre quindi un nuovo progetto che alimenti speranze e partecipazione, con l’obiettivo del 2020, traguardo importante per ogni europeo, decisivo per noi e soprattutto per le giovani generazioni. Un obiettivo che Fli ha contribuito a delineare nella cornice della “Strategia Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Un progetto per gli italiani che saranno maggiorenni in quegli anni, ai quali lasciare, appunto, una terra migliore.
Capitolo 2.
Superare il populismo, riunire l’Italia
La crisi italiana si manifesta attraverso un indebolimento progressivo e preoccupante sia della coesione sociale sia di quella nazionale. Non può avere futuro un’Italia frammentata in tante Italie litigiose e rancorose. È proprio il rancore il sentimento risultato dominante nello stile pubblico degli ultimi anni: Italia del Nord contro Italia del Sud, Italia dei precari contro Italia dei garantiti, Italia dell’ “antipolitica” contro Italia della “casta”, Italia nazionalpopolare contro Italia dei salotti, Italia delle partite Iva contro Italia dei dipendenti pubblici, Italia giustizialista contro Italia garantista, Italia laicista contro Italia confessionale. Il populismo che ha rappresentato la principale “cifra” della politica nell’ultimo quindicennio ha sostituito le gabbie ideologiche del Novecento con micro-ideologie faziose e intolleranti che oscurano l’orizzonte del comune interesse nazionale.
Certo, il motivo della frammentazione sociale va cercato nell’esaurimento delle tutele e delle protezioni del sistema pre-globalizzazione, che non si è tradotto in nuove opportunità (o meglio, si è tradotto in nuove opportunità solo per pochi) e che ha pertanto approfondito le divisioni sociali e culturali generando insicurezza e rabbia. Ma la mancata nascita di una nuova cultura politica dopo la fine del consociativismo ha acuito il problema anziché affrontarlo come tutta Europa ha fatto: la “nuova” politica non ha saputo né comporre né regolare i conflitti, preferendo mistificarli attraverso un bipolarismo vissuto come ordalia permanente.
Chi oggi governa ha voltato le spalle ai principi che le avrebbero consentito di arginare questa deriva, primo tra tutti il senso dell’interesse nazionale, e si è lasciata andare a una strategia populista che non cerca soluzioni ma capri espiatori e facile consenso. La visione dei problemi perde di lucidità e si nutre di stereotipi: ordine pubblico? Tutta colpa degli immigrati; inefficienze della pubblica amministrazione? Tutta colpa dei “fannulloni” annidati presso il pubblico impiego. La crisi di legalità nella politica? Un complotto della magistratura. L’avversario è talvolta rappresentato come un nemico diverso persino “antropologicamente”; il legittimo dissenso e la legittima critica sono gabellati come “tradimento”; le inchieste sulla corruzione sono una “congiura”, solo per citare alcune delle tante leggende fiorite in questi anni.
La politica italiana del nostro tempo non è riuscita a regolare i conflitti e a definire un’etica dell’unità e della responsabilità. In taluni casi, è parsa persino sfruttare cinicamente la pulsione all’inimicizia attraverso una sorta di odio di classe alla rovescia: nel ’900 fu un mito incendiario per mobilitare i più poveri contro i più ricchi; oggi è usato per cancellare tra i ceti garantiti i sentimenti di solidarietà verso i non garantiti. Così, se il bipolarismo ha certo raggiunto lo scopo di consentire all’Italia la conquista della democrazia dell’alternanza – laddove nella cosiddetta Prima Repubblica vigeva un sistema politico bloccato, nonché dominato da classi dirigenti inamovibili – il processo di costruzione della democrazia bipolare non è stato completato, come avrebbe dovuto, né sul versante della cultura politica né su quello delle regole condivise.
I “poli” che dal 1994 animano il bipolarismo italiano non hanno avviato un processo di maturazione politica, ma subito un processo di regressione ideologica. In nessun Paese dell’Occidente avanzato il bipolarismo è così estremistico e, in entrambi gli schieramenti, così conservatore. Da questo punto di vista, il polo di centrodestra ha fallito non solo sul piano esterno, quello del governo, ma anche su quello interno, della modernizzazione della propria identità politica, al punto da rivalutare la prima Repubblica e le sue leadership. Così il polo berlusconiano, delegittimato da questa regressione, attraversato da conflittualità e rancori endemici, ha finito per delegare l’elaborazione di contenuti e linee strategiche all’alleato leghista, autentico “motore” della coalizione. Le indicazioni e talvolta i diktat della Lega hanno fatto aggio su tutto, dalla realizzazione del programma alla gestione dell’ordinaria amministrazione, vanificando ogni sforzo di costruzione di un centrodestra di tipo europeo.
Più in generale, nel sistema politico italiano, non si è affermata la convinzione che nel bipolarismo ciò che unisce è altrettanto importante di ciò che divide, che esistono precondizioni della politica – l’interesse nazionale, la legalità, il rispetto delle persone – che in tutto il mondo occidentale sono considerate patrimonio comune. S’è dovuta registrare un’insufficiente consapevolezza del fatto che il confronto politico, ancorché talvolta aspro, deve condividere una piattaforma di principi e valori civili. Il bipolarismo italiano può quindi dirsi doppiamente anomalo. Per il dominio del personalismo sulla cultura politica, fino alla deriva (sul fronte del centrodestra) del “partito cesaristico”. E per la drammatizzazione permanente del confronto politico, con gli schieramenti aggregati non dalla logica dell’amicizia (interna) ma da quella dell’inimicizia (esterna). Le alleanze sono state cementate dal principio dell’essere “anti” e non da quello dell’essere “per”.
Noi sappiamo invece che occorre superare “presentismo” e “localismo” che sono vincoli alla crescita. E con essi il populismo che blocca il rinnovamento. Riunire l’Italia, per crescere insieme.

Capitolo 3.
Un nuovo inizio, un partito nuovo
Futuro e Libertà sarà un partito plurale, inclusivo, accogliente, tollerante, in piena sintonia con quella che è l’espressione migliore della società italiana, con i suoi corpi sociali, la sua alta propensione al volontariato, le sue specificità locali, la sua tendenza ad accogliere l’altro e a informare di sé gli altri: civiltà universale ancor prima che nazione, e comunità di destino ancor prima che Stato. Futuro e libertà è consapevole che la cultura dell’accoglienza e dell’apertura al cambiamento è una caratteristica della nostra identità storica che va preservata e valorizzata in ogni ambito.
Futuro e Libertà sarà un partito nazionale ed europeo al quale tutti i cittadini italiani ed europei potranno iscriversi, decidere ed essere eletti a cariche di responsabilità in qualunque parte del mondo risiedano e in cui potranno ritrovarsi anche tutti coloro che, pur non essendo cittadini italiani, risiedono legalmente nel nostro Paese in pieno rispetto delle leggi e condividendone i valori di fondo. Per noi vale il principio “l’Italia a chi la ama”.
Futuro e Libertà sarà un partito aperto e flessibile, con uno statuto federalista e partecipativo, nel quale sarà consentito alle singole regioni una propria organizzazione pattuita con il livello nazionale. al fine di interpretare al meglio le differenti realtà politiche e sociali del Paese: un vero e proprio country party, con le sue realtà locali capaci di rappresentare sino in fondo le diverse peculiarità del territorio, l’Italia dei comuni e delle autonomie locali, che vanno valorizzate e non negate all’interno di un quadro unitario e di un progetto nazionale.
Futuro e Libertà sarà un partito che valorizzerà le energie più dinamiche del Paese, le forze sociali e produttive, il mondo della cultura e della ricerca, per far emergere una nuova e più ampia e più consapevole classe dirigente, in un rapporto continuo con le associazioni e i corpi sociali, nelle varie forme di rappresentanza e di partecipazione, non solo nel percorso costituente ma nell’azione di ogni giorno, che è in grado di offrire spazi di opportunità e di azione per le nuove soggettività e le nuove professionalità create dai processi dell’economia globale.
Futuro e Libertà sarà comunità politica e movimento di partecipazione, in dialogo continuo con i suoi interlocutori privilegiati, gli iscritti, i sostenitori, i cittadini, le formazioni sociali, le comunità territoriali. Tale dialogo deve alimentare il “capitale sociale” della comunità nazionale e di quella politica di Futuro e Libertà. Questo è dato dall’insieme di regole e valori condivisi dai membri di un gruppo, che consente loro di cooperare per raggiungere gli obiettivi di bene comune. Regole e valori che devono comprendere virtù quali la lealtà, l’osservanza degli impegni presi e la reciprocità. Se dagli altri ci si attende un comportamento affidabile, la fiducia reciproca diventa, per ogni organizzazione, un fattore di efficienza.
Futuro e Libertà sarà un partito democratico e liberale, in cui tutti gli iscritti avranno davvero elettorato attivo e passivo e in cui tutti gli aderenti potranno partecipare alle scelte, alle decisioni politiche e alla selezione delle candidature, secondo il principio “una testa un voto”, al fine di rendere la politica più vicina ai cittadini e di dare anima alle istituzioni, e nel contempo convincere gli incerti e gli astensionisti che si può cambiare, si può decidere, si può partecipare.
Futuro e Libertà sarà un partito moderno, agile e comunicativo. Non il partito televisivo e padronale di chi commissiona gli spot e parla solo per slogan, ma un partito che ascolta e cresce anche su internet e sui new media, quindi sul dialogo e sul confronto. Un partito circolare, non unidirezionale. Futuro e Libertà non crede che la politica possa essere una fiction, non vive di sondaggi né alimenta gli umori, crede nel valore delle classi dirigenti e nella necessità di un confronto di idee e di proposte, che si misurano nella realtà e con responsabilità, in ogni contesto. Futuro e Libertà non teme le idee e non teme il dissenso, che anzi sono il sale della politica.
Futuro e Libertà sarà un partito pragmatico e riformista, mai populista e mai demagogico, con programmi concreti e obiettivi definiti, che intende contribuire al processo di rinnovamento dell’Italia, nella certezza che occorre fare nel prossimo decennio quello che non si è fatto nei primi dieci anni del Duemila. Da subito, in questo 2011, con la prospettiva di fare dell’Italia del 2020 un Paese più forte e solidale, coeso e competitivo nel mondo.
Futuro e Libertà sarà aperto a tutti, senza distinzioni e senza timori, per dare soluzioni ai problemi di oggi e contribuire a realizzare l’Italia di domani, sulla base del “Manifesto per l’Italia” presentato a Bastia Umbria e del Programma “Nasce per l’Italia” che definiremo nel corso dell’Assemblea costituente.
Futuro e Libertà si impegnerà con le altre forze riformiste del Polo degli italiani a costruire una alternativa di governo sin dalle prossime elezioni amministrative e a lavorare insieme in ogni consesso, a cominciare dal Parlamento nazionale, per realizzare le riforme che servono all’Italia, nell’interesse generale del Paese, investendo sul futuro e quindi su innovazione e ricerca, cultura e formazione, per ampliare gli spazi di libertà e i diritti umani e civili.





Capitolo 4.
L’Italia bloccata, le riforme che mancano

I normali rapporti tra la politica, le attese dell’opinione pubblica e le oggettive necessità del Paese sono risultati progressivamente stravolti nell’ultimo decennio dalla deriva populista.
Annunciare la soluzione dei problemi è diventato più importante del lavorare tenacemente (e perciò pazientemente) a risolverli: la politica degli annunci è stata considerata più utile e più produttiva nella contesa per l’occupazione dello spazio mentale del “pubblico”, cioè dei cittadini-elettori. Tradotto in termini di strategie politiche, potremmo dire che la raccolta del consenso immediato ed effimero, fondato sulle suggestioni del momento, appunto il presentismo, è prevalsa sulla creazione di consenso solido e profondo, che comporta l’attesa degli effetti politici di una vera azione riformatrice, che si fonda su un progetto.
Insomma, la politica ha sottratto realtà all’Italia accumulandovi illusioni, che fatalmente si trasformano, presto o tardi, in cumuli di delusione. Il fenomeno dell’ “antipolitica” e la crescita dell’area dell’astensionismo  ne sono il segno più eloquente.
Una politica siffatta ha disperso  gran parte delle  sue energie  in polemiche sterili e non ha realizzato le riforme necessarie al Paese. La transizione italiana, annunciata nella prima metà degli anni Novanta come condizione temporanea e provvisoria, si è dilatata per un quindicennio e si presenta oggi come una situazione di cronica incompiutezza.
L’avvio di un profondo e rapido processo riformatore è il cuore della proposta di Fli. Si deve agire nel sociale realizzando, in tutti gli ambiti dei servizi alla persona, un welfare davvero sussidiario, sempre più aperto all’iniziativa privata e al terzo settore. Si deve inoltre procedere a una riforma organica degli ammortizzatori sociali e delle politiche del lavoro con un welfare progressivo. In Italia c’è, insieme, troppa precarietà e troppo poca flessibilità. Un processo di riforma incompleto non ha superato, ma paradossalmente “stabilizzato”, un mercato del lavoro duale, socialmente insostenibile ed economicamente inefficiente. Chi ha meno garanzie non può anche costare e guadagnare di meno. Chi ha un lavoro più precario, non può anche avere meno welfare. Non si può tornare indietro alla logica del “posto fisso”. Ma non si può restare nella logica del “chi può si arrangi”. È necessario puntare sui cosiddetti contratti “d’avvenire” e sui contratti di evoluzione per i giovani, che danno diritto a una formazione continua in cambio di obblighi progressivi di accettazione delle proposte di lavoro. Inoltre, è opportuno allineare l’occupazione femminile alla media europea.
Per avere un welfare efficiente e universale – non frammentato da politiche micro-settoriali e di fatto discriminatorie – si deve rimettere in moto la crescita economica superando la logica del conflitto tra capitale e lavoro e lo schema della dialettica corporativa tra gli interessi “costituiti”, confidando nel mercato e nella concorrenza come straordinario fattore di emancipazione economica e di mobilità sociale. Per questo occorre liberalizzare davvero il mercato dei prodotti e dei servizi, anziché privatizzare monopoli e rendite di posizione (in settori strategici quali quelli bancario, editoriale, mediatico e delle utilities), a livello sia nazionale che locale. In questo quadro occorre comunque salvaguardare, rispetto ad alcuni asset, gli interessi strategici del Paese. Le liberalizzazioni dovranno essere eseguite tenendo conto degli interessi strategici del nostro paese. E occorre ridurre il peso dell’intermediazione pubblica – sia di quella fiscale che di quella normativa – per rendere più agevole e accessibile l’iniziativa economica.
Aprire tutti i settori alla concorrenza è una condizione essenziale e imprescindibile per una politica di sviluppo. Abbattere il debito pubblico, ridurre la spesa pubblica, la cui crescita nell’ultimo decennio ha mangiato il “dividendo di Maastricht”, cioè l’alleggerimento, grazie all’euro, degli interessi sul debito pubblico, è un’esigenza di moralità, prima che di efficienza economica. C’è troppo Stato dove non serve e troppo poco dove è invece necessario, a partire da una politica coraggiosa e generosa sul fronte della sfida educativa, dell’istruzione, della formazione, della ricerca e dell’innovazione, perché oggi “l’economia della conoscenza” non è un “settore”, ma è la forma che, in tutti i settori, la competizione economica va assumendo sul piano globale.
Anche per questo, non può essere ulteriormente rinviata la questione fiscale, che resta uno dei macigni che ostacolano la vita e la crescita di famiglie e imprese e lo sviluppo del Paese. Lo scorso anno la pressione fiscale in Italia è addirittura aumentata, mentre negli altri Paesi diminuiva, ed ora siamo al terzo posto nel mondo, dopo Danimarca e Svezia, che però garantiscono servizi estesi ed efficienti. Serve una riforma che semplifichi e riduca le aliquote, renda più efficienti e diretti gli incentivi, alleggerisca la pressione sulle imprese e sul lavoro produttivo, privilegiando chi produce reddito rispetto a chi vive solo di rendita. Una cosa è il risparmio delle famiglie che va salvaguardato, ben altra la speculazione finanziaria che va adeguatamente tassata. È necessario un nuovo diverso Patto fiscale tra Stato e contribuenti che nasca anche sull’efficace contrasto ad ogni forma di evasione ed elusione fiscale e che realizzi forme premiali nei confronti di chi adempie ai propri doveri tributari o a chi investa sullo sviluppo. Anche in questo caso, premiare gli onesti e non i furbi, scommettere su chi investe e non su chi specula, secondo il principio del merito che crea sviluppo.
Nella prospettiva del rilancio economico del Paese bisogna finalmente riconoscere che la tutela e la promozione dei beni artistici, museali e paesaggistici e gli investimenti nella cultura non sono “un lusso” ma l’attivazione della più grande risorsa del Paese. Se la cultura non produce, l’ignoranza distrugge.
È necessario affrontare l’irrisolto problema del recupero della sovranità energetica da parte dell’Italia, che passa per la diversificazione delle fonti in termini di tipologia e di approvvigionamento, per un forte e prioritario investimento sulle rinnovabili e il ritorno al nucleare civile. La green economy può rappresentare una driving force per l’uscita dalla crisi e l’innovazione tecnologica. La nuova frontiera dell’ “economia verde” non può essere ridotta a interventi sporadici sul risparmio energetico o su specifiche fonti alternative, ma deve essere sviluppata in tutto il suo valore strategico, come in tutti i grandi Paesi a “capitalismo maturo”, riconoscendo che la salvaguardia e la sicurezza del territorio, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, la produzione di beni e servizi ecosostenibili, l’uso di fonti energetiche rinnovabili, la politica del risparmio e del riutilizzo, rappresentano temi importantissimi nell’agenda della politica economica e industriale, oltreché una doverosa scelta a difesa degli equilibri ambientali e dello straordinario paesaggio italiano. Lo sviluppo del Paese non passa dal consumo indiscriminato del territorio e delle sue risorse, ma dalla valorizzazione della sua bellezza e delle sue tradizioni e forme di vita.
Migliorare la qualità della vita significa ridare senso all’azione di ogni giorno, coniugare produzione e ambiente e valorizzare il territorio nelle sue specificità. Il prodotto interno lordo è solo uno dei misuratori dello sviluppo, tutto quello che rende davvero felici non rientra negli indicatori che abitualmente usiamo, affermava Robert Kennedy negli anni Sessanta. L’istruzione, la cultura, la mobilità e il contesto urbano, l’ambiente salubre e accogliente, il rispetto dell’altro, dei più deboli e degli anziani, la partecipazione e la solidarietà, sono altrettanto importanti quanto gli indici di borsa. La qualità è nella natura e nel destino della nazione italiana, la vera risorsa su cui investire.
Parlare di riforme immaginando l’Italia del 2020, un’Italia che vorremmo migliore, più ricca, civile, sicura, piena di opportunità per i singoli e per le famiglie, significa smettere di mantenere un approccio meramente difensivo davanti al fenomeno epocale delle grandi migrazioni.
Se le politiche di contrasto all’immigrazione clandestina hanno dato risultati apprezzabili (fatta salva comunque la necessità di tutelare sempre la dignità della persona umana), ora i tempi sono maturi per affrontare l’altro versante, quello realmente strategico, della nuova cittadinanza sulla base del principio “l’Italia a chi la ama” e del doveroso riconoscimento della “italianità” dei figli di immigrati nati sul nostro territorio e cresciuti nelle nostre scuole, che non possiamo continuare a considerare “stranieri” senza pagare un pesantissimo pedaggio di ingiustizia e quindi di disgregazione sociale.
Una vera politica per la famiglia, prima “agenzia educativa” della società, e un effettivo sostegno al diritto alla maternità delle donne, in un Paese che nel 2021 avrà solo il 12% di giovani e il 23% di anziani, costituiscono una scelta pressoché obbligata se non vogliamo veder franare il nostro welfare.
L’analisi più corretta è quella che legge la realtà con gli occhi dei più giovani, di quanti saranno maggiorenni nel 2020 e si pone il problema di cosa fare per consentire loro di esprimere al meglio le proprie potenzialità, con una politica della natalità, della formazione e del lavoro che consideri i giovani una risorsa e non un peso, una sfida e non un freno. Il “fattore famiglia” è un obiettivo che va inserito in un contesto legislativo che sviluppi anche una politica per l’impresa e l’occupazione e che estenda la base produttiva a giovani e donne.
Allo stesso modo, riferirsi a una nuova etica pubblica e al ripristino dei principi di legalità, non vuol dire per noi evocare un generico principio, ma indicare come priorità norme anticorruzione che espellano dalla politica e dall’amministrazione della cosa pubblica chi si rende responsabile dei reati di concussione, peculato e corruzione; leggi a minor tasso di discrezionalità nel settore degli appalti pubblici; vincoli di trasparenza che consentano ai cittadini di avere effettivo controllo su tutte le attività amministrative e finanziarie degli enti locali.
La giustizia che vogliamo è una giustizia “per i cittadini” e sappiamo che l’unico modo per riformare un settore cruciale per la competitività del Paese è aprirsi a un ampio confronto, valutando con lucidità le patologie strutturali del sistema giudiziario e non trasformandole in materia di scontro politico e istituzionale, come purtroppo è avvenuto negli ultimi anni, con un grave pregiudizio per l’immagine dello Stato, della politica e della giustizia. Il numero dei procedimenti e quindi la loro durata vanno ridotti a monte e non certo a valle, riducendo la litigiosità, e migliorando l’efficienza giudiziaria, secondo il principio: meno processi, con tempi certi e definiti, sentenze chiare, pene effettivamente scontate.
Infine, sappiamo che il Paese ha bisogno assoluto di un rinnovamento delle istituzioni, che è la condizione essenziale per rifondare il Patto politico tra italiani. Si deve avviare in tempi brevi la riforma costituzionale che l’ultimo decennio non ha saputo produrre. Una riforma fondata su più decisione (dell’esecutivo) e più controllo (del Parlamento); sulla riduzione dei costi della politica; sull’abolizione del bicameralismo paritario e perfetto; sulla riduzione del numero dei parlamentari (eletti in base ad una legge elettorale che consenta l’effettiva scelta dei candidati) e sulla configurazione del Senato come seconda Camera di rappresentanza dei territori, sia comunali sia regionali, con competenze specifiche; su una revisione del regionalismo che trasferisca poteri e competenze dalle Regioni ai Comuni; su una riforma del Titolo V della Costituzione con la precisazione delle competenze dello Stato e di quelle regionali; sull’abolizione delle Province o, in subordine, sulla loro riduzione e riorganizzazione entro un quadro complesso di maggiore razionalità e coerenza; sul consorziamento obbligatorio dei piccoli comuni entro unioni che ne assorbano e ottimizzino le principali funzioni amministrative, mantenendone salda l’identità municipale; sul ridisegno dei ruoli e delle competenze della pubblica amministrazione, attraverso la predisposizione di funzioni e servizi in coerenza con i reali bisogni dei cittadini e di nuovi assetti istituzionali, per il mantenimento degli equilibri di efficienza tra stato e mercato.
L’Italia è bloccata. Chi aveva promesso le riforme non è stato in condizione di realizzarle, perché alimenta gli umori, insegue gli interessi, invece di governare, decidere e scegliere anche contro gli umori e contro i privilegi. Noi sappiamo che occorre farlo, noi chiediamo di farlo, insieme.














Capitolo 5.
Un nuovo patto. Nazionale, generazionale, sociale
Futuro e Libertà nasce nel nome di un nuovo patto per l’Italia fondato sul patriottismo repubblicano, sulla legalità, sull’equilibrio delle opportunità e sull’espansione di diritti senza colore e senza etichette: il diritto a competere in economia oltre ogni posizione di rendita, il diritto a ottenere giustizia, il diritto alle pari condizioni in qualunque area del Paese si abiti, qualunque sia il proprio reddito, ceto sociale, sesso, fede, etnia e orientamento politico, il diritto alle opportunità sociali, il diritto dei consumatori ad avere dei mercati corretti e trasparenti.
È un patto nazionale, perché fondato su un’idea di cittadinanza partecipativa che coinvolga l’intero Paese nella costruzione del suo presente e del suo futuro. È un patto generazionale, perché punta a superare, prima che diventi insanabile, la frattura tra la generazione dei padri e quella dei figli attraverso un virtuoso riequilibrio tra diritti acquisiti e opportunità per il futuro. È un patto sociale perché vuole sanare le fratture che si sono aperte nella nostra comunità nazionale sull’onda degli egoismi geografici, anagrafici, di categoria, troppo a lungo lasciati correre dall’antipolitica.
Nell’orizzonte del nostro progetto c’è un sogno paragonabile a quello che 150 anni fa unificò politicamente la nazione, e ci appare emblematico il fatto che la nascita del nostro partito coincida con questa grande ricorrenza.
Futuro e Libertà vuole e auspica una celebrazione che non sia retorica ma rifondativa. Il Centocinquantenario deve essere l’occasione per recuperare il senso della cittadinanza – che è innanzitutto partecipazione alla vita della polis – contro tutte le caste che hanno imprigionato le energie della nazione, mortificato il senso civico, indotto gli italiani ad allontanarsi dalla vita pubblica, immiserito e infangato il senso della politica.
L’Italia ha bisogno di un nuovo e poderoso slancio. C’è bisogno di riedificare la nazione. Il destino del nostro popolo conduce gli italiani a dover reinventare la Patria nei passaggi cruciali del loro cammino come comunità storica e politica. È il nostro dramma e il nostro orgoglio. Il grande traguardo deve essere quello di “Italia 2020”: il nostro Paese può e deve conoscere un imponente “decennio riformatore”, che gli permetta di recuperare il “decennio perduto”, gli Anni Zero del 2000, un tempo sprecato nell’immobilismo e rattristato dallo spettro del declino.
E c’è bisogno di dare un progetto alla nazione, di ricoprire nuovi ruoli nei nuovi scenari internazionali. Ripensare la strategia complessiva dell’Italia è ancor più prioritario oggi, a 150 anni dall’unità politica e a vent’anni dall’avvento della nuova geopolitica mondiale post-bipolare, che apre a Oriente e a Sud. Per farlo, occorre scommettere sull’Europa e sul ruolo che essa, unita, può svolgere per affrontare le principali questioni nazionali: la difesa, la lotta al terrorismo, le politiche migratorie, l’integrazione e la cooperazione economica. Inoltre, dal punto di vista strategico, significa investire sull’Italia come punta avanzata europea e occidentale nel Mediterraneo e piattaforma commerciale ed energetica per il mercato continentale. Significa ravvivare una cultura dei diritti umani su scala globale di cui l’Unione europea possa farsi interprete e parte attiva nelle relazioni internazionali. Uno smart power non esporta la democrazia tout court ma promuove la consapevolezza della dignità e libertà di ogni essere umano. Dieci anni fa con l’11 settembre non si è aperto uno scontro di civiltà, si è aperto per l’Occidente un fronte di impegno nella promozione della dignità umana.
Per questo, dobbiamo essere di nuovo in piedi come nazione. Credibili e dignitosi nei nostri comportamenti, forti dell’etica civile e coesi nell’espressione sociale, come lo sono i nostri militari impegnati in missioni di pace. Come lo sono i volontari che ogni giorno esprimono la loro solidarietà al servizio degli altri e di chi ne ha bisogno, come lo sono i missionari in Africa e chiunque svolga un servizio civile, laico o religioso che sia. Come lo sono gli italiani nel mondo che ovunque si affermano per la loro capacità creativa e per la loro iniziativa imprenditoriale e che vogliono avere un’Italia orgogliosa di sé come noi siamo orgogliosi di loro.
Noi sappiamo che c’è bisogno di un messaggio diverso, non tribale né familistico, e abbiamo l’ambizione di offrire risposte a quell’Italia disorientata e depressa che oggi è di fatto priva di rappresentanza: le nuove generazioni smarrite, il ceto medio impoverito, la piccola e media impresa disorientata e tutti quei “senza parte” che non si riconoscono nelle logiche antipolitiche di un Paese ostaggio di politiche “particolaristiche”, che scoraggiano le sfide e incentivano gli egoismi.
Vogliamo dare voce e progetto all’Italia che crede nella possibilità di una svolta riformatrice e in una società più forte, equa, solidale; in uno sviluppo fondato sui meriti e sulle capacità; in una politica che selezioni classi dirigenti all’altezza della sfida dei tempi nuovi.
Crediamo nel coraggio dei giovani, nelle potenzialità degli immensi giacimenti culturali del Paese, nell’intraprendenza, nella genialità e nella capacità di “rinascere” e di “risorgere” che costituiscono il Dna della nostra comunità nazionale, formata in duemila anni di storia per i quali nutriamo un legittimo orgoglio.
Il nuovo sogno italiano, il sogno che coltiviamo, è il sogno della libertà nella sua pienezza. Libertà di intraprendere, libertà di crescere, libertà di costruire, libertà dei singoli, dei gruppi, delle associazioni, delle aziende, dei liberi professionisti, dei corpi intermedi, del popolo nel suo insieme, libertà di affermare nei grandi spazi reali e virtuali l’intelligenza italiana.
L’Italia che vogliamo è una patria senza burocrazie paralizzanti, senza regolamentazioni asfissianti, senza barriere anacronistiche, interne ed esterne, un’Italia che non ha paura della competizione, dove lo Stato non fornisce protezioni settoriali o clientelari ma opportunità vere, opportunità con giustizia. Non è una utopia, non per un Paese come il nostro che tira fuori il meglio proprio nel massimo della difficoltà e della crisi.
Futuro e libertà vuole contribuire a realizzare un nuovo Patto nazionale, generazionale e sociale, e crede che su questo debbano essere impegnati tutti coloro che si riconoscono negli stessi ideali del patriottismo repubblicano.


Il nostro impegno.
Dieci anni per costruire una nuova Italia

Tutto questo non si costruisce in un giorno, non si ricostruisce in un anno. Se i primi dieci anni del Duemila sono andati per il nostro Paese in buona parte sprecati e si sono accresciuti i gap interni ed esterni, di coesione nazionale e di competitività internazionale, ora è necessario un grande, corale impegno per recuperare il terreno perduto con l’obiettivo di realizzare da subito le grandi riforme che necessitano per l’Italia del 2020.
L’ Italia è migliore di quanto appare: ha una società vitale e solidale e imprese dinamiche e volitive; ha arte e cultura e grande capacità di resistenza e nel contempo di innovazione. È una società che risparmia molto, ha bisogno di credere per investire di più. L’Italia ha bisogno di una classe dirigente che sia responsabile e coesa, che abbia senso dello Stato e rispetto delle Istituzioni. E che si impegni a unire e non a dividere, a guardare avanti e non indietro, per ricostruire il senso della nazione e ridare il sorriso della speranza ai più giovani.
È necessaria una grande passione e molto coraggio. È necessario mobilitare le energie migliori senza steccati e pregiudizi nella piena convinzione che possiamo farcela.
Futuro e libertà per l’Italia chiama a raccolta coloro che vogliono provarci. Affinché un giorno si possa dire: «Io non mi sono arreso, noi non abbiamo mollato». Nella speranza che altri dicano: «Anche grazie a loro ci siamo riusciti».

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